medici

Nel gennaio 2020, quindi in tempi non sospetti, ho inviato una lunga lettera alla Presidente della regione Umbria Tesei, e all’assessore alla sanità Coletto, in cui evidenziavo le gravi inadempienze e i ritardi della sanità regionale, in merito alla cura della DCM. (una patologia Odontoiatrica che non trova una cura adeguata nella nostra regione) – anche se sulla base di uno studio clinico condotto nel 2000 dall’Università di Perugia – questa patologia, nelle forme più lievi, riguarderebbe 70% dei cittadini – con una maggiore incidenza sulle donne in un rapporto di 1 a 4. Come alcuni di voi sapranno le cure Odontoiatriche sono regolate dal D.lgs. 502/1992 e successive modifiche e integrazioni, e inserite nei Lea (livelli essenziali assistenza). Come rende noto il Ministero “Tali disposizioni prevedono che l’assistenza odontoiatrica a carico del SSN sia limitata a: programmi di tutela della salute odontoiatrica nell’età evolutiva (0-14 anni) o rivolta a determinate categorie di soggetti in condizioni di particolare vulnerabilità, che può essere di 2 tipi vulnerabilità sanitaria o sociale”.

Rendo pubblico, quindi, l’estratto finale di quella lettera: “Spero di non essermi dilungato troppo nella mia esposizione ma sappia che esiste più di una ragione che mi ha spinto a farlo non ultima quella che è stata la “stella polare” che ha orientato tutte le mie iniziative cioè impedire che accada ad altri ciò che è accaduto a noi, e che il continuo ripetersi di queste “storie” possa in qualche modo gettare discredito sulla sanità pubblica e sui tanti medici e personale sanitario che con grande impegno svolge il proprio lavoro, e che spesso diventa il primo bersaglio di questo “sistema” discriminatorio basato essenzialmente sul do ut des, anche nei confronti della associazioni dei malati.
Ritengo che ora spetti a Lei il dovere di intervenire in modo determinato ed imparziale, so bene che il suo compito non sarà facile ma sicuramente non impossibile e sarà in grado di farlo solo se saprà ascoltare e confrontarsi con i cittadini e gli ammalati di questa regione.

Parole che ora risultano in qualche modo profetiche, visto che è di queste giorni il comunicato di Cimo-Fesmed, il sindacato dei camici bianchi, della regione Umbria. Dal sondaggio, da loro effettuato, a cui hanno risposto 239 medici che lavorano nelle strutture sanitarie regionali, ne emerge un quadro desolante della sanità in Umbria. “Disillusi, abbandonati e stanchi”. E’ questa la condizione in cui si trovano i medici della sanità pubblica in Umbria, con un dato su tutti che risulta allarmante, infatti il 30% di loro sogna di scappare dagli ospedali umbri, e addirittura uno su cinque vorrebbe lasciare l’Italia.

Quindi un senso di disagio e di malcontento diffuso non solo tra gli ammalati ma anche tra i medici, istanze a cui la politica continua a non fornire nessuna risposta. Sono anni che Arianuova denuncia anche sulla stampa locale (40 articoli di stampa) la precarietà della sanità in Umbria. Per lo più inascoltato, per cui ritengo doveroso ribadire un concetto a me molto caro: medici/ammalati sono le due facce di un’unica medaglia.

“Negli ultimi venti anni siamo passati dalla tanto sbandierata “umanizzazione” e centralità del malato ad un sistema di imprese sanitarie regionali la cui missione aziendale è il fatturato, dove il profitto diventa l'”anima” dei sistemi di cura. A seguito della aziendalizzazione degli ospedali e delle Asl, regionalizzazione dei servizi e privatizzazione del S.S.N. Si è costituito un sistema avulso da qualsiasi forma di controlli, che esclude proprio i cittadini, ammalati e medici, un sistema come abbiamo visto più volte, in Umbria; ad esclusivo uso e consumo della politica”.
“Il diritto alla salute è l’unico che la Costituzione definisce come fondamentale” quindi bisogna iniziare a ragionare sulla base dei diritti dei cittadini, non di chi amministra o ci governa”.

Termino con un’ultima considerazione, di interesse generale, su cui tutti noi (cittadini, ammalati, medici, personale sanitario e associazioni) dovremmo iniziare a riflettere, Chomsky scrisse: «Questa è la strategia standard per privatizzare: togli i fondi, ti assicuri che le cose non funzionino, la gente s’arrabbia e tu consegni al capitale privato».

Non bastano le leggi. È indispensabile riallacciare il dialogo tra sanitari e pazienti. Quotidianosanità.it

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